In un contesto di inflazione e incertezza, come quello attuale, è ragionevole aspettarsi un progressivo calo del potere d’acquisto. Per questo motivo le aziende dovrebbero puntare verso modelli autenticamente omnicanale per mantenere un profitto costante.
Parlare di omnicanalità significa creare percorsi per i clienti che rifletta la fluidità tra i diversi canali online e offline e capace di fornire un’esperienza senza soluzione di continuità per l’utente finale, indipendentemente dal luogo in cui si trova e dal modo in cui sceglie di contattare un’organizzazione. Significa spostare il focus sull’utente e puntare a stabilire le condizioni per conseguire un’approfondita conoscenza delle preferenze dei clienti e dei loro comportamenti. Solo così diventa possibile, infatti, puntare su un approccio commerciale personalizzato che negli anni ha dimostrato essere la vera leva fondamentale per accelerare le decisioni d’acquisto e aumentarne l’efficacia, riuscendo a intercettare, talvolta persino ad anticipare, la richiesta di nuovi prodotti.
Secondo la ricerca “The omnichannel journey in Italy”, realizzata da IDG Research e Infobip, oggi la metà delle aziende italiane utilizza ancora la stessa comunicazione per tutti i clienti e la percentuale di aziende che dichiara di avere conseguito una condizione di omnicanalità è del 23% (poco sotto una media europea del 25%).
Sebbene l’offerta di canali digitali delle aziende si stia ampliando, molte di esse sono ancora in una fase intermedia di maturità (circa la metà secondo la ricerca IDG) in cui stanno lavorando per collegare i diversi canali senza aver ancora conseguito una piena integrazione e avere una visione dettagliata delle abitudini d’uso dei clienti.
Questo significa offrire un “customer journey” frammentato, soprattutto quando l’acquirente si sposta da un canale all’altro.
A ostacolare la strada verso l’omnicanalità concorrono molteplici fattori. Tra questi la disponibilità di uno stack tecnologico spesso datato e strutturato in silos, a seguito di politiche di acquisto avvenute in tempi diversi e la predisposizione di sistemi pensati per svolgere un unico scopo che li porta ad avere solo dati associati a una specifica area: sistemi ERP per i dati transazionali e di magazzino, PIM per le informazioni sui prodotti, CRM per i dati dei clienti e così via.
Inoltre, la proliferazione dei dati e dei canali richiede nuovi modelli di analisi e tecnologie innovative in costante e rapido cambiamento che, a loro volta, richiedono competenze avanzate che così tanto scarseggiano sul mercato italiano e internazionale.
Gli ostacoli tecnologici sono, tuttavia, solo una parte del problema perché, in assenza di una spinta strategica decisa e motivata, che deve partire dall’alto, c’è il rischio di restare perennemente bloccati in una fase di “cross-channel”, con processi di integrazione che si trascinano all’infinito, non riuscendo mai a realizzare in pieno il potenziale di business associato a un livello spinto di multicanalità.
È bene capire che indirizzarsi verso una politica autentica di omnicanalità richiede tempo, sforzi, dedizione e investimenti che devono orientarsi su più fronti: integrazione e coordinamento dei diversi canali, visione unificata a 360 gradi del cliente, capacità di raccogliere i dati e di analizzarli il più possibile in tempo reale, automazione spinta, flessibilità decisionale, politiche efficaci e innovative di personalizzazione delle comunicazioni e dell’offerta commerciale. Solo intervenendo su questa molteplicità di fronti diventa possibile sfruttare le nuove opportunità di quello che tutti chiamano la trasformazione digitale.
Una buona notizia però c’è. Chi pensa che questa battaglia si svolga unicamente sul piano digitale e che, pertanto, ogni azienda italiana si trovi a dover competere con ogni realtà mondiale del suo settore trascura una lezione importante.
È vero che le abitudini di acquisto si sono orientate verso i media digitali, con anche la spinta accelerativa fornita dalla pandemia, ma la stessa pandemia ha, probabilmente, favorito l’affermazione del modello che oggi si sta radicando nel nostro Paese che è di tipo ibrido. I consumatori italiani dimostrano, sempre più, di voler coniugare i vantaggi in termini di convenienza e flessibilità dei canali digitali con l’esperienza della visita in presenza del punto vendita. Il piacere dello shopping di persona non è sparito e i canali digitali stanno, pertanto, assumendo un crescente ruolo di supporto per accelerare o semplificare l’interazione fisica, piuttosto che sostituirla interamente.
Di conseguenza, ottimizzare il customer journey significa puntare non solo all’integrazione tra digitale e digitale ma anche e soprattutto tra mondo fisico e digitale.
Molte tecnologie sono già disponibili per favorire questo tipo di esperienza tra cui quelle provenienti dal mondo dell’IoT, gli strumenti di intelligenza artificiale e tutto il mondo del cloud capace di abilitare aggiornamenti contemporanei di dati, configurazione e analisi su punti vendita distribuiti a livello globale.
Il passaggio successivo di questo processo prevede l’adozione di tecnologie quali metaverso, realtà aumentata e virtuale. Una possibilità a oggi già tecnologicamente possibile ma non ancora radicata nell’esperienza degli utenti e, pertanto, ancora relegata, nei pochi casi in cui viene applicata, a livello di curiosità.
Anche su questo fronte è lecito aspettarsi nel prossimo futuro una rapida accelerazione con un effetto traino che arriverà, presumibilmente, dal settore del lusso, già oggi più avanti sulla strada dell’innovazione nel “customer journey”.