L’incredibile fesseria secondo la quale internet non costa, che ci ha accompagnato per molte ondate di pensiero (e-mail, e-book, e-tc…), sta adesso assumendo contorni farseschi con l’avvento delle IA generative o genAI.
Le analisi, molto diverse e chiaramente viste dall’esterno, valutano il costo quotidiano del funzionamento di chatGPT da 0,1 milioni di dollari a 1 milione di dollari. A nostro avviso sono stime basse, destinate inoltre a crescere con la complessità dei modelli. Satya Nadella avrebbe affermato anche che Microsoft ha dedicato ad OpenAI uno specifico centro di calcolo, abbassando di molto i costi operativi. È chiaro che quando un provider abbassa il costo operativo della parte eseguita sul suo cloud, la stessa riduzione arriva anche a tutti i carichi analoghi eseguiti su quel cloud.
Sì, perché il cloud e l’IA generativa sono straordinariamente collegate tra loro. Senza il cloud, infatti, non è possibile addestrare i modelli, quindi sviluppare nuove aziende di genAI. A quel punto, i fornitori di servizi cloud possono facilmente proporre una compartecipazione: loro forniscono potenza elaborativa (che per loro è al momento gratis, come capacità inutilizzata) e in cambio entrano pesantemente nel capitale della genAI. Da quel momento, lo sviluppo reale non sarà più libero ma verrà forzatamente indirizzato secondo le capacità previsionali del cloud provider. La condizione di bisogno tra genAI e cloud è il più grande lock-in diretto al quale abbiamo mai assistito. Il lock-in è fortissimo: ciascuna genAI usa software, dataset e modelli non trasportabili su altre genAI; inoltre l’esecuzione finale va su server con hardware e chip diversi per ogni cloud provider e tra loro assolutamente incompatibili.
Secondo me, il tentativo del mondo preesistente di portare queste realtà autonome all’interno della sua struttura di permessi e controlli è velleitario e destinato alla sconfitta. Ammesso e non concesso che i legislatori capiscano questi argomenti, le IA generative sono una tecnologia disruptive che modifica il panorama di pensiero che l’ha preceduta, annullando tutti i confini -a partire dalle normative- sulle quali si faceva poggiare l’equilibrio precedente. Non riusciamo a fermare i ladri fisici, figuriamoci quelli immateriali.
In Europa, principalmente, si fa metafisica pura sui diritti e sulle norme che dovrebbero regolarli. Fandonie: non esiste enforcement. È inutile chiedere all’Unione europea, all’Italia, o a qualsiasi altra meta-entità di regolare cose che capiscono in pochissimi e sulle quali non c’è possibilità di controllo fisico.
Oltre al lock-in diretto, osserviamo però un meccanismo di lock-in inverso, che quindi penalizza i cloud provider. Non solo i margini, ma anche il valore in borsa diventa direttamente collegato alla genAI del cloud provider, che vivono di hype mediatico. Il rischio è enorme, perché i settori disrupted non hanno nessun meccanismo -di legge o di mercato- che possa controllarli.
Fino a quando ci sarà un libero mercato, a vincere sarà la spinta speculativa, basata su fake news che generano hype che crea e distrugge fortune overnight. Un esempio è di qualche giorno fa: costretta ad annunciare anzitempo Bard, la sua genAI che dovrà contrastare chatGPT (e chissà cos’altro), Alphabet/Google ha visto la sua quotazione crollare del 7,7% (l’8 febbraio 2023) perché Bard ha fornito una risposta clamorosamente errata in una pubblicità online. Quindi il business reale di Google andava benissimo, ma l’hype mediatico gli è costato una temporanea perdita di quasi l’8%. Nessuno può mitigare questi effetti.