E se l’intelligenza artificiale diventasse “cattiva”?

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Non è più un tema da film di fantascienza o da immaginario collettivo. L’intelligenza delle macchine è già presente in modo pervasivo attorno a noi: nei siti Web, nei telefoni, negli edifici, nelle automobili. La condizione di un cervello fatto di bit e byte capace di pensare come noi, prendere decisioni come le nostre, agire come noi è, però, ancora piuttosto lontana, anche se c’è la sensazione che si avvicini rapidamente.

L’intelligenza artificiale, a imitazione di quella umana, opera seguendo una progressione in tre fasi: acquisiamo informazioni, le elaboriamo e di conseguenza effettuiamo azioni. L’elaborazione avviene sulla base dell’esperienza ovvero attraverso il confronto con le informazioni acquisite in precedenza, utilizzando strumenti di osservazione e deduzione. Un altro modo per tradurre l’esperienza in decisione segue il criterio basato sul condizionamento che si realizza a seguito della ripetizione di una serie di azioni associato a una ricompensa: lo stesso con cui si addestrano gli animali. Il livello base di un’intelligenza artificiale è quello che consente di individuare, tra una serie limitata di opzioni precostituite, quella che si adatta meglio a ogni specifica situazione. Un passaggio successivo è quello in cui la macchina è in grado di effettuare scelte autonome capaci di modificarsi in base al confronto dei risultati che ogni decisione pregressa ha prodotto. In entrambi i casi, il risultato favorevole di confronto resta quello predefinito dal programmatore. Se la decisione riguarda dati numerici, finanziari, criteri di efficientamento legati a parametri numerici misurabili può trattarsi di un risultato oggettivo: per esempio la modalità desiderata è quella per cui l’efficienza energetica risulta massima.

Macchine che apprendono dall’esperienza del mondo

Se invece il processo decisionale fa riferimento a criteri più soggettivi, si pone il problema di stabilire quali siano i criteri da considerare soddisfacenti che, in un contesto chiuso, potrebbero coincidere con le indicazioni direttamente legate all’esperienza del programmatore. 

Il livello più avanzato di intelligenza artificiale è quello che vede le macchine elaborare esperienze in modo autonomo e valutare in modo autonomo i criteri che definiscono una scelta per così dire positiva attingendo a un ambiente aperto.

Anche in tal caso, la modalità operativa di apprendimento sarà a imitazione di quella dell’intelligenza umana. Tuttavia, i meccanismi della mente umana che portano le persone a ritenere positiva una scelta o una condizione non sono sempre così chiari e definibili. A parte i criteri che attengono al benessere fisico (autoconservazione, salute, disponibilità di cibo e così via) i meccanismi decisionali delle persone che riguardano il benessere decisionale psicologico non sono schematizzabili e non sono neanche così ben compresi. Non a caso scienze come la psicanalisi sono nate proprio per cercare di dare spiegazione a questi concetti così difficili e sfuggenti. 

L’eticità dell’intelligenza artificiale

Cosa rende un uomo buono o cattivo? Ancora oggi è difficile stabilirlo. Solitamente si giudica un uomo buono o cattivo dalle sue azioni. Ma queste azioni come vengono concepite?

Si comprende, pertanto, come per le macchine sia difficile stabilire criteri che consentano di prendere decisioni veramente autonome. 

Ciò che sblocca il nuovo livello di intelligenza artificiale è il processo avvenuto negli ultimi dieci anni non solo di proliferazione di informazioni accessibili via Web, che includono sempre più pressoché ogni libro, ogni commento, ogni forma di conoscenza acquisita nella storia dell’umanità. Ma anche la messa in rete e l’accessibilità di esperienze di miliardi di persone: esperienze e commenti rispetto a un cibo, a una vacanza, a un’idea, a un progetto politico, a una filosofia.

Ecco allora che l’intelligenza artificiale che si trova a mettere insieme informazioni ed esperienze per elaborare il risultato “positivo” finale, lo fa attingendo a un’esperienza collettiva. O meglio, per mere ragioni pratiche di lingua, di tempo di elaborazione o di accordi commerciali, attingendo a un sottoinsieme di informazioni ed esperienze non ben definito.

La cosa curiosa è che i nuovi trend dell’intelligenza artificiale, portano le persone a volersi affidare alle macchine per ottenere consigli. Se chiedete a ChatGPT di organizzarvi un viaggio da Roma a New York, lui vi proporrà una serie di percorsi, di tappe, di alberghi. La scelta potrebbe basarsi su alcuni criteri oggettivi prezzo inferiore a una certa soglia, ma anche su altri criteri soggettivi che ci sfuggiranno (o non ci importeranno) quali la scelta di un determinato ambiente naturale che apparterrà all’esperienza di qualcun’altro. 

È dunque provocatoriamente lecito chiedersi se, quando e perché un’intelligenza artificiale in questo processo potrebbe operare secondo profili etici discutibili ovvero diventare “cattiva”. 

Potrebbe, magari, fornire in modo volontario un suggerimento che generi fastidio oppure danno perché siete un uomo politico e le esperienze del mondo le dicono che ve lo meritate. Se Hitler volesse fare il giro del mondo e si affidasse a un’intelligenza artificiale per organizzare il viaggio, questa potrebbe decidere di metterlo su un aereo per Israele: perché la reputa una meritevole meta turistica oppure per indirizzarlo verso una punizione.

Un ulteriore motivo di preoccupazione riguarda il mondo del cyber crimine che sta già studiando il modo per sfruttare i sistemi di intelligenza artificiale per pilotare ai propri fini opinioni, indicazioni, consigli (magari elezioni).

L’eticità dell’intelligenza artificiale è, in questo momento, giustamente, un dibattito aperto. Poiché, però, le implicazioni di business di queste nuove tecnologie sono ampie, esiste il rischio che si tratti di un dibattito di convenienza, all’insegna del politicamente corretto ma pronto, nei fatti, a smentirsi di fronte alle convenienze del business.

Riccardo Florio
Riccardo Floriohttp://www.riccardoflorio.it
Laureato in Fisica, ricercatore, tecnologo, giornalista iscritto all'Ordine, utilizza i computer dal 1980 e da oltre vent'anni opera nel settore dell'editoria IT. E' cofondatore e attuale general manager della media company Reportec ed è direttore responsabile delle riviste Direction e Partners. È coautore di innumerevoli libri, rapporti, studi e Survey nel settore dell’ICT.

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