Molte grandi aziende stanno continuando a licenziare parti rilevanti della forza lavoro. A far notizia è stata principalmente Twitter, i cui 3-4 mila licenziamenti hanno fatto grande effetto sia per le modalità, sia per la rilevanza su un totale di appena 7.500 dipendenti. In gran parte si tratta di colossi informatici, da HP (4-6.000) ad Amazon (18), da Google (10) a Salesforce (8), per arrivare alla stessa Meta (11).
Tanti licenziamenti stanno ad indicare che c’è stato un profondo cambiamento nella struttura dei processi di produzione su scala mondiale, con una produttività aumentata in molti settori. Che per la maggior parte siano grandi aziende del settore dell’innovazione informatica spinge a pensare che non siano più queste aziende a rappresentare veramente l’innovazione. In una frase, l’internet 2.0 e sociale ha concluso la sua corsa.
Quello che la pandemia ha accelerato e reso meno lineare è il totale ripensamento dei processi, con lavoro a distanza e ampio sfruttamento dell’intelligenza artificiale. Al solo citare questa formula, un mondo ciecamente umanista continua ad evocare superiorità presunte e nemici virtuali, giocando al paradosso di Zenone (l’AI) e della tartaruga (l’uomo). Gli enormi problemi di eredità culturale filosofica e normativa verranno tranquillamente ignorati dal nuovo che avanza, bisogna rendersene conto. Quello che leggiamo dai mezzi di informazione e spesso di formazione è oggi 99% fuffa e solo 1% sostanza.
La trasformazione dev’essere totale
Una cultura né matematica, né algoritmica, manca qualsiasi obiettivo. Per fare alcuni esempi, il vero costo -per la tasca o l’ambiente- di ciascuna parola o azione compiuta da una IA generativa (e chi lo paga) è ancora in fase di calcolo. Allo stesso modo, la proprietà intellettuale delle tessere di mosaico che vanno a comporre immagini testi o programmi generati in modo automatico non è facilmente calcolabile e sarà impossibile da valutare in tribunale.
Ma non è certo questo articolo il luogo di discussione di questi fenomeni, che lasciamo all’agorà dei metafisici. Qui ci preme mettere in risalto la matrice tecnologica di cambiamenti che richiedono un approccio nuovo, più che un’infinita serie di trasformazioni normate nel passato. Le aziende, anche quelle piccole, devono capire che ogni secondo passato nel dubbio è ormai perso: per sperare di avere un domani, oggi bisogna investire molto in vera conoscenza.
Sono tutte formule che chi si occupa di digitale conosce bene, ma magari ha applicato singolarmente e non da un unico punto di partenza: security by design, data-driven process, containers, zero-code development, API Economy, marketing automation. La protesta per l’uso dell’inglese indica solo un altro fronte d’ignoranza del protestatore. Dobbiamo invece impegnarci nel definire ciascuna voce con accortezza ed interrelazioni, per ottenere risultati validi.
Sono questi, e molti altri, punti intorno ai quali si sta sviluppando un nuovo mondo, più competitivo e cattivo del mondo precedente.
Diminuire l’entropia dei processi produttivi
Che la cosa la si voglia vedere dal lato dei chip o delle batterie elettriche, delle piattaforme aziendali o dei digital twin industriali, è irrilevante. Quella che noi chiamiamo oggi intelligenza artificiale è un’occasione di ridurre l’entropia di processi che muoiono in rivoli non produttivi la cui somma asfissia l’organizzazione e blocca il cambiamento, impedendo di scoprire attività, lavoro e riconoscimenti. C’è necessità di abbracciare le nuove forme di conoscenza non come fatti incrementali ma partendo da zero. Chi non si farà promotore di questo approccio alla competenza resterà indietro.
È quindi evidente che nel nostro pensiero c’è un allargamento della distanza tra tecnologia presunta e tecnologia avanzata. La coesistenza di queste due forme di economia reale è deleteria, ed è destinata a creare stress test continui per la struttura produttiva.
Siamo ad un punto di svolta: ciascuna nuova tecnologia, come il web 2.0, nasce innovativa e muore legacy.