Comperare aziende non è come comperare auto

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La maggior parte delle auto in circolazione sarà venduta e rivenduta fino a che non sarà ridotta a un insieme di parti di ricambio. Le aziende non sono però come le auto. Le aziende, spesso, nascono e muoiono con i loro fondatori o le successive generazioni. Ed è un peccato. Sarebbe bello che le aziende potessero sopravviverci e che il capitale e l’avviamento generato non si disperdessero.

Proprio per questo motivo esiste un business di compravendita di aziende, un po’ come esiste per le auto usate. Però, per le auto usate i criteri di valutazione sono più o meno standard, noti e condivisi. Per le aziende è assai più difficile. Uno dei più comuni criteri di valorizzazione di un’azienda consiste nel quotarla un multiplo del profitto annuale attuale o previsto. È questo, nella sostanza, un investimento in direzione di futuri flussi di cassa (pagando un’azienda tot volte il suo profitto attuale annuo, scommettiamo di essere capaci di aumentare questo valore ripagandoci in pochi anni, oppure che questo profitto potrà continuare a lungo andando a ripagare nel tempo il nostro investimento), ma può rivelarsi una rischiosa scommessa, perché, a differenza di un’auto, non si può portare un’azienda a fare un giro di prova (certo, c’è la cosiddetta “due diligence”, ma è parecchio sulla carta e poco nella pratica) e di solito le aziende, per continuare a funzionare bene, hanno bisogno di ben più di una visita periodica dal meccanico.

Il mercato delle aziende usate non è quindi efficiente e affidabile come quello delle auto usate. Le acquisizioni di cui sentiamo maggiormente parlare sono soprattutto quelle di tipo strategico in quanto l’acquirente ritiene che l’azienda acquisita offra sinergie (secondo l’ipotesi 1 + 1 = 3) con le sue altre attività. Magari l’acquirente già possiede un’efficiente forza vendita (e quindi può ampliare il portafoglio prodotti e servizi a loro disposizione) o liquidità in eccesso (che non vuole lasciare in banca) oppure sistemi e strutture che potrebbero rendere la combinazione delle due società (acquirente ed acquisita) più efficace di quanto non sarebbero se rimanessero da sole.

Come valutare un’azienda?

Un modo tipico per valutare un’azienda consiste nel valorizzare l’insieme di risorse messe a disposizione dell’acquirente, ad esempio:

  • Brevetti, software e sistemi proprietari
  • Clientela e business ricorrente
  • Canali di vendita
  • Reputazione del marchio
  • Newsletter, siti web, risorse social (e relativi abbonati, follower e visibilità)
  • Liquidità, crediti e debiti, linee di credito
  • Macchinari, scorte, immobili e altre proprietà, altri beni concreti

Questi sopra (e altri simili) sono fattori sostanzialmente ben quantificabili. Ce ne sono però altri più sfuggenti e difficili da valorizzare:

  • L’azienda acquisita ha uno staff valido e autonomo oppure dipende dalla presenza h24 del fondatore?
  • Quanti saranno i membri dello staff che rimarranno in azienda di loro volontà e quanti invece cercheranno nuovi lidi? Quanti altri invece l’acquirente vorrà ricollocare o licenziare?
  • L’azienda acquisita ha un modello di business affidabile e chiavi in ​​mano, idealmente ripetitivo e poco rischioso?
  • L’azienda acquisita beneficia di un effetto rete (quel fenomeno che descrive un prodotto o un servizio, in cui l’arrivo di un maggior numero di utenti aggiunge valore alla rete. Quando è presente l’effetto rete, ogni nuovo utente aggiunge valore al prodotto) collaudato e funzionante? Oppure ne potrà beneficiare la combinazione delle due aziende?
  • L’azienda acquisita è in un percorso di crescita ben avviato, tipico delle aziende con un DNA aggressivo?
  • L’acquirente potrà evitare una minaccia competitiva? (alcune grandi aziende trovano più facile acquisire un concorrente che competervi)
  • Tramite l’acquisizione l’acquirente avrà una nuova storia da raccontare a investitori e mercati finanziari? (se il costo dell’acquisizione di una società è inferiore all’aumento indotto al valore delle azioni, l’acquisizione è sostanzialmente gratuita; è così che Cisco ha fatto negli anni)
  • L’acquirente può sfruttare l’acquisizione per una sorta di rafforzamento difensivo? L’acquisizione di un concorrente in un nuovo settore può essere magari un modo per far ripartire di slancio la propria organizzazione verso nuovi obiettivi e mercati?

La chiave di volta: l’esperienza

Forse però l’indicatore più affidabile del fatto che una società possa venire presa in considerazione per un’acquisizione strategica è che i suoi investitori e manager l’hanno già fatto con successo, sono i cosiddetti imprenditori seriali. E lo stesso vale per l’acquirente. Poiché le acquisizioni raramente sono solo calcoli su un foglio Excel. Spesso è necessario un forte adattamento culturale da parte dell’acquirente e dell’acquisito.

E voi avete considerato di acquisire aziende? Oppure vorreste entrare a far parte di una realtà più grande?

Primo Bonacina
Primo Bonacina
Bergamasco di nascita (1961), bresciano di adozione e internazionale per professione, si occupa da sempre di IT e Digitale. Primo in ordine temporale a laurearsi (1984) presso la neocostituita Facoltà di Informatica di Milano ha operato con ruoli di responsabilità crescente per aziende multinazionali dell’IT, tra cui Olivetti, 3Com, Tech Data, Microsoft e Acer. Nel 2014 ha creato un’attività di servizi e consulenza commerciale, marketing, HR e imprenditoriale, PBS – Primo Bonacina Services. Nel 2019 ha co-fondato e dirige RADIO IT.

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