Cambiamento climatico: il digitale ridurrà le disuguaglianze?

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L’altro giorno, leggendo uno dei tanti articoli sulle tecnologie di AI applicate ai vari ambiti della società e del business, ho ripensato a quanta importanza può avere la tecnologia, ogni tipo di tecnologia, digitale e non, nel determinare un cambiamento economico e sociale e nel consentire la presa di posizioni dominanti. Posizioni che si traducono, quasi sempre, in nuovo sviluppo e migliore qualità della vita delle persone, progresso e potere a scapito di chi, invece, non dispone di queste conoscenze e infrastrutture. Un esempio di questo gap, solo l’ultimo in ordine di tempo, viene dall’applicazione delle tecnologie di AI alla meteorologia.

Lo studio dei fenomeni meteorologici è da sempre un ambito molto complesso dove, fino a non molti anni fa, proprio per la quantità e varietà delle variabili da considerare, era molto facile sbagliare le previsioni. Si tratta infatti di saper gestire e interpretare data set molto grandi e variegati sui quali, ormai da qualche tempo, l’applicazione di algoritmi di intelligenza artificiale contribuisce non poco a realizzare previsioni sempre più accurate. Dati che provengono da moltissime fonti: satelliti, stazioni meteorologiche distribuite sui territori, sensori IoT, da analisi storiche su aree geografiche e periodi temporali specifici. Insomma, applicare modelli matematici su questi insiemi di dati è un lavoro complesso che richiede grandi conoscenze e professionalità, ma che consente alle tecnologie di AI, se correttamente implementate e istruite, di aumentare sensibilmente il grado di attendibilità e soprattutto di estendere l’arco temporale delle previsioni.

Se allora rapportassimo, come avviene oggi, questa raffinata capacità elaborativa con l’aumento in numero e virulenza dei fenomeni naturali che il riscaldamento globale sta determinando in tutto il mondo, viene da sé capire quanto importante sia disporre oggi e in futuro di queste tecnologie. Per prevedere siccità o fenomeni piovosi estremi, ondate di calore oppure escursioni termiche che, ad esempio nel campo dell’agricoltura (ma anche in moltissimi altri) possono davvero determinare lo sviluppo o la depressione di intere zone di territorio, con impatti molto pesanti su abitanti e imprese. Va inoltre considerato che più il tempo passa è più migliora la capacità di apprendimento e di “esperienza” dei sistemi di intelligenza artificiale. Quale differenza di sviluppo potrebbe allora portare la capacità di pianificare, con un elevato grado di certezza, le future produzioni agricole? Quanto è importante investire in infrastrutture per mitigare gli effetti distruttivi del climate change, ottimizzare la resa e la qualità delle colture, sulla base di previsioni meteorologiche precise e in grado di essere personalizzate in funzione delle diverse zone agricole? Magari applicando a sistemi integrati IoT di smart agricolture gli algoritmi di AI determinando sempre più la capacità per le tecnologie di autogestirsi in funzione delle variabili climatiche? Domande che sono retoriche; la risposta è: moltissimo!

È uno degli esempi di applicabilità delle tecnologie digitali che ci consentono di capire le differenze di prospettiva, economica e di vita, tra chi detiene conoscenze e tecnologie e chi invece non può far altro che utilizzare tecniche obsolete subendo, più di altri, gli impatti dei cambiamenti climatici. Progetti di contrasto ai danni causati dal climate change attraverso le tecnologie digitali sono in corso in tutto il mondo. Sicuramente nei paesi più evoluti, ma anche in quelli più poveri dove, peraltro, esiste un ricchissimo bacino di competenze e iniziative, soprattutto da parte delle generazioni più giovani, per utilizzare il digitale come leva di crescita economica e sociale.

Tecnologie e investimenti, ad esempio, per provare a ridurre le diseguaglianze, spesso profonde, tra le diverse realtà di un paese dall’enorme potenziale come l’Africa, dove il ricorso al digitale è l’unica leva possibile per limitare l’isolamento di numerose strutture agricole a dimensione familiare, supportare lo sviluppo e la vendita dei prodotti, rendere attrattivo il lavoro agricolo alle giovani generazioni, diminuire la disparità di accesso tra aree rurali e urbane e tra sistemi agricoli industrializzati e arcaici. Si tratta tuttavia di tecnologie e iniziative con competenze, investimenti e innovazioni tecnologiche provenienti in gran parte dai paesi ricchi. È però solo perseguendo, con una forte volontà politica, una prospettiva di inevitabile condivisione, co-sviluppo e cessione di nuove tecnologie e competenze con i paesi più poveri e disagiati del mondo, che potremo cercare di armonizzare e riequilibrare i percorsi di crescita economica globale, per provare a gestire quei flussi migratori causati non solo dalla disperazione di guerre ormai endemiche, ma anche e soprattutto dovuti a un cambiamento climatico che sposterà sempre più le persone alla ricerca di luoghi migliori in cui potersi cibare, bere, vivere.

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Stefano Uberti Foppa
Stefano Uberti Foppa
Giornalista professionista, è stato direttore della rivista e del portale ZeroUno per 22 anni. Inizia a occuparsi di giornalismo nel settore informatico nel 1981, partecipando all'avvio della sede italiana del settimanale Computerworld. Nel 1987 passa al mensile ZeroUno, edito da Arnoldo Mondadori Editore, di cui nel 1997 assume la direzione insieme a quella del settimanale PcWeek Italia. Fonda nel 2006 la casa editrice Next Editore, poi confluita, nel 2017, nel Gruppo Digital360. Si occupa dell’analisi dell’evoluzione digitale sia in rapporto allo sviluppo di impresa sia all’impatto sui modelli organizzativi e sulle competenze professionali ed è oggi opinion leader riconosciuto nel settore Ict in Italia.

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