Innovazione: la tenacia, prima di tutto

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Abbiamo ormai numerose controprove che dimostrano come all’origine di ogni cambiamento aziendale, al di là di un ricorso all’eccellenza tecnologica e alle corrette competenze, ci debba essere la sola cosa che garantisce il successo: la tenacia delle persone.

Eh, sì, ormai le evidenze dimostrano che non è sufficiente investire in tecnologie abilitanti, intelligenti, automatizzate; in architetture in grado di fare self management e di ridefinirsi, parzialmente, nei propri processi per rendersi sempre più efficienti, se il tutto non viene accompagnato da una serie di elementi intangibili che, fortunatamente, ancora risiedono nell’essere umano.

Ecco solo alcuni veloci esempi di complessità legate alla trasformazione tecnologica e organizzativa dove gli elementi di maggior freno non sono, quasi mai, di tipo tecnologico o di investimento economico, pur essendo questi, va detto, fondamentali.

Sono tanti anni ormai che si parla di cloud tanto che questa architettura è diventata l’elemento di riferimento per l’accelerazione di qualsiasi progetto di business transformation e di innovazione. Portare nel modello as-a-service piattaforme, infrastrutture e applicazioni si è rivelato tuttavia molto complesso. Inevitabile ma difficile. Solo il 10% delle aziende dell’indice S&P 500 ha infatti dichiarato di acquisire, negli ultimi 10 anni, valore significativo e “strutturale” dagli investimenti cloud. I motivi? Certamente esiste una complessità tecnologica che spesso viene sottovalutata essendo attirati dal miraggio del risparmio economico evitando, ad esempio, fasi di preparazione applicativa e di revisione architetturale che sono importanti nei processi di migrazione, soprattutto quando ci si riferisce ad applicazioni legacy che negli anni sono state di continuo ottimizzate per girare in ambienti on premise. Ma il vero punto debole si trova negli elementi organizzativi e di processo in capo a responsabilità umane, di persone. Chi ha ottenuto risultati riscontrabili di flessibilità e di riduzione di tempi e costi nella propria capacità di rilascio di prodotti e servizi grazie al cloud (migliorandone la qualità), ha quasi sempre investito su elementi legati al ripensamento organizzativo, di processo e di competenze trasversali ai diversi team, quelli IT e quelli business. Ha individuato persone che si occupassero del change management da un punto di vista della governance, dell’incentivazione professionale e anche della chiarezza di ruoli e di responsabilità. Ha lavorato nella consapevolezza di ridisegnare un’azienda originariamente pensata con strutture verticali per cambiamenti di mercato programmabili in una realtà “fluida” modificabile nelle proprie strutture, permeabili a una trasversalità di comunicazione e di applicazioni al variare dei diversi fenomeni di disruption. E di questo modello ne ha fatto un riferimento sempre più estendibile all’intera azienda. Lentamente, con convincimenti, competenze, coinvolgimenti e stimoli professionali ed economici.

Non parliamo poi di open innovation, quella esigenza, ormai diventata strutturale per le aziende, di riuscire a innovare attraverso un coordinamento, non semplice, di un ecosistema di partner indispensabile in tempi di continui e rapidi cambiamenti nelle problematiche e opportunità di business. Al netto che anche qui servono tecnologie architetturali che agevolino il coordinamento, la collaborazione e la comunicazione tra i soggetti dispersi in azienda e all’esterno di essa, è ormai riconosciuto l’impossibilità di sostenere costi e tempi di una business innovation senza investire su elementi di “armonizzazione tra le persone”. Anche qui, chi ha avuto successo si è preoccupato di agire su elementi culturali forti, di coinvolgimento e corretta comunicazione orizzontale, tra le business unit, e verticale, tra i differenti livelli gerarchici. Di investire su processi, strutturandoli il giusto per accogliere idee e modalità operative in grado di “contaminare” l’azienda legacy e a silos, sviluppatasi in anni di mercati più “prevedibili”. Ha lavorato sulle rigidità diffuse e sulla costruzione di responsabilità e fiducia. Poi, certamente, la tecnologia ha accelerato e fatto la propria parte. Ma i casi di successo sono ormai sempre accompagnati da questi due elementi-guida: tenacia nel volere il cambiamento e investimento sulle risorse umane, valorizzando le caratteristiche professionali, ma anche personali, della gente. E questo è valido in tantissimi ambiti, dai più tecnologici, pensiamo a security o allo sviluppo codice, dove gli elementi di disegno organizzativo sono propedeutici al funzionamento ottimale delle tecnologie, fino al grande tsunami in corso dell’intelligenza artificiale, dove solo la capacità di saper trasferire culture, sensibilità e speranze degli esseri umani ci darà sistemi di AI in grado di esserci davvero amici e di sostenerci in un nuovo processo evolutivo.

Stefano Uberti Foppa
Stefano Uberti Foppa
Giornalista professionista, è stato direttore della rivista e del portale ZeroUno per 22 anni. Inizia a occuparsi di giornalismo nel settore informatico nel 1981, partecipando all'avvio della sede italiana del settimanale Computerworld. Nel 1987 passa al mensile ZeroUno, edito da Arnoldo Mondadori Editore, di cui nel 1997 assume la direzione insieme a quella del settimanale PcWeek Italia. Fonda nel 2006 la casa editrice Next Editore, poi confluita, nel 2017, nel Gruppo Digital360. Si occupa dell’analisi dell’evoluzione digitale sia in rapporto allo sviluppo di impresa sia all’impatto sui modelli organizzativi e sulle competenze professionali ed è oggi opinion leader riconosciuto nel settore Ict in Italia.

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