Gordon Moore ci ha lasciati il 24 marzo 2023, dal suo dorato paradiso haiwaiano. È l’ultimo della triade Noyce-Moore-Grove che innervò Intel e sagomò il mondo dei microprocessori sotto l’egida della loro Intel.
Nato a San Francisco nel 1929, la sua mente è stata certamente una delle più importanti nella creazione del mondo digitale che vediamo oggi.
Come già accadde per altri, però, i suoi indiscutibili meriti potrebbero essere stati enfatizzati in modo particolare da circostanze occasionali e anche dall’ufficio stampa della storia. Questo evento è comunque una buona occasione per parlare di chip da un angolo diverso da quello del recente shortage.
La storia dei Traitorous Eight
La storia di Moore parte poco dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Tra il 1955 e il 1956 il fisico statunitense William Shockley (1910-1989), al quale viene attribuita l’invenzione del transistor (insieme a Walter Brattain, 1902-1987, e John Bardeen, 1908-1911), fondò la mamma di tutte le integrazioni, la Shockley Semiconductor Laboratory. La storia di quel transistor -e di tutti quelli che l’hanno preceduto- è molto divertente, ma non riguarda questo articolo.
Nel gruppo di fisici che recluta, Shockley ha anche Gordon Moore e Robert Noyce (1927-1990). Sta nascendo Silicon Valley.
Insieme al geniale fisico Noyce e ad altri sei, il chimico Moore abbandonò quel caratteraccio di Shockley per fondare la Fairchild Semiconductors. La stampa salutò focosamente l’iniziativa chiamandoli the traitorous eight, gli otto traditori, che si disse portarono con sé molte conoscenze. La stampa può molto, ma di quell’aggettivo inglese non c’è oggi alcuna memoria. In quel caso, l’ufficio stampa non ebbe successo.
La legge di Moore non nasce in Intel
Moore stava quindi in Fairchild (non in Intel) nel 1965, quando partì la storia della legge che porta il suo nome. Questa legge ha sagomato per ormai 60 anni l’impetuosa crescita di questa tecnologia e viene usata come confronto per altre tecnologie successive.
La Legge di Moore direbbe, più o meno, che “il numero di transistor integrati nello stesso chip raddoppia ogni 18 mesi”. Ma siamo sicuri? Beh, no. Come spesso accade, questa legge non esiste. Nel 1965 Moore scrisse l’articolo Cramming more components onto integrated circuits, pubblicato dalla rivista Electronics n. 8 e oggi disponibile un po’ ovunque, ad esempio su Computer History Museum. Guardando l’integrazione di più transistor su singola piastrina (non per microprocessori) ottenuta tra il 1959 e il 1965, si poteva ipotizzare un raddoppio annuale per almeno altri dieci anni. Siccome nel 1965 si era intorno ai 60 transistor per chip, nel 1975 si sarebbe raggiunta la quota di circa 65.000 transistor per chip.
Il sottotitolo di quell’articolo era “With unit cost falling as the number of components per circuit rises, by 1975 economics may dictate squeezing as many as 65,000 components on a single silicon chip”. La stampa fece il resto. L’articolo mostrava altre interessanti analisi di tipo predittivo, che furono per lo più trascurate.
Ma anche Fairchild era inadatta a Noyce e Moore, che nel 1968 fondarono la Intel… o meglio, non esattamente: il primo nome dell’azienda fu NM Electronics, che dopo un paio d’anni divenne Intel. Il terzo dipendente fu il chimico ungherese András Gróf (1936 – 2016), passato alle cronache con il nome statunitense Andrew Grove, che ebbe straordinaria rilevanza nell’industrializzazione dell’azienda.
La Legge di Moore? Una profezia autoavverante
“La Legge di Moore era nata come previsione di lungo periodo, ma negli anni ‘90 si era trasformata in self-fulfilling prophecy, una profezia auto-avverante”. A scriverlo fu Robert Colwell, in Intel dal 1990 al 2000 per sviluppare dapprima il Pentium II (nato P6), il Pentium Pro, il III, il IV ed anche altri progetti (The Pentium Chronicle, IEEE Press 2006, pp. 14-15). La complessità nella produzione di chip, che oggi richiede oltre mille passaggi tecnici, è ottenuta attraverso un’infinità di macchinari che vengono realizzati, aggiornati ed abbandonati secondo un ritmo che via via si modellò sulla cosiddetta legge di Moore. Certamente la forma popolare della legge è stata di grande aiuto al mercato mondiale.
La Legge di Moore? I numeri la retrodatano
Nel novembre 1971, Intel introdusse il 4004. Anche in questo caso, forse più di tutti gli altri del settore, la storia dietro è veramente intrigante. Si trattava di un dispositivo programmabile di uso generale da 2.300 transistor ed era in linea con la Legge di Moore. Si inferiva quindi che quello fosse il numero massimo di transistor per chip. Purtroppo la legge di Moore non era di uso generale, ma riguardava solo quello che le sue ricerche e i suoi sistemi di produzione garantivano. Esistevano infatti altri approcci: ad inizio 1970 il chip MP-944, usato per digitalizzare le funzioni del caccia F14 (quello del film Top Gun), ospitava già oltre 3.200 transistor nel maggiore dei sei chip necessari. Quel progetto militare, gestito da Ray Holt, divenne pubblico solo a partire dal 1998, quando l’ufficio stampa della storia aveva già operato: il famoso Pentium Bug aveva cristallizzato le informazioni note fino a quel punto, rendendo impossibile la diffusione di confutazioni o aggiunte.
Resta da discutere se il termine microprocessore possa descrivere l’MP-944 o anche il 4004. Anche i transistor dei due chip erano molto diversi, ma il numero di elementi per chip è un fatto non passibile d’interpretazione: se a fine ‘71 il numero d’oro era 2.300, ma altri ad inizio 1970 ne avevano integrati 3.200, il numero d’oro non era l’unica strada possibile.
Perché Faggin non ha vinto il Nobel per la fisica?
Purtroppo l’importanza della sorte nei flussi e riflussi della storia è toccata anche a Faggin. Parlando di Moore, non possiamo non parlare anche di lui. Nel 1967 il fisico italiano Federico Faggin lavorava alla SGS-Fairchild (oggi ST Microelectronics) di Agrate Brianza. Successivamente (1970) fu chiamato negli States a sviluppare il rivoluzionario 4004, risultato che raggiunse grazie ad innovazioni tecnologiche di sua ideazione in parte nate prima della chiamata oltreoceano, come il buried contact. La fama di Faggin fu ritardata dalla scarsa disponibilità di Intel a tributargli i meriti che gli spettavano.
Faggin (Vicenza 1941) è tuttora molto attivo -recentemente ha seguito l’ascesa della Roboze, azienda italiana di 3D printing fondata da Alessio Lorusso-, ma le sue rilevanti scoperte non sono riuscite a garantirgli quel Nobel per la fisica che a detta di molti avrebbe meritato.
Quanto sarà stata importante la temporanea, ma lunga, reticenza di Intel? L’ufficio stampa della storia, in questo caso, non è proprio partito.