Mi ha colpito molto la dichiarazione che ho sentito poco tempo fa durante un telegiornale, di un operaio della storica cartiera marchigiana Fedrigoni di Fabriano, in occasione dello stop definitivo alla produzione della famosa carta per fotocopie Copy2 (quella che tutti noi, nel nostro lavoro, fino a ieri abbiamo usato. Ovviamente sono escluse le nuove generazioni, alle quali se parli di “foglio A4” ti guardano con stupore, curiosità e un certo “interesse scientifico”).
L’azienda ha deciso la chiusura della controllata «Giano 1264» che produceva carta per ufficio ma che nel gruppo generava ormai i margini più bassi. Il nome della società richiamava il fiume Giano, indispensabile per la lavorazione di questo prodotto fino a oggi famoso in tutto il mondo. L’anno si riferiva invece al momento in cui, attraverso una pergamena ancora oggi conservata a Matelica (Macerata) si attesta l’avvio della produzione di carta bambagina a Fabriano, in pratica la rivoluzione della produzione di carta partendo dal cotone.
Il piano prevedeva il licenziamento di 174 operai, poi sospeso e tramutato in un anno di cassa integrazione. Quell’operaio “cartaro”, a cui controvoglia hanno strappato una dichiarazione per il Tg, con una tristezza evidente, prima ancora che rivendicare una speranza di nuovo lavoro che difficilmente si concretizzerà ha dichiarato alle telecamere che “No, non si fa così! C’era anche dell’affetto per quella macchina”.
“Quella macchina” era la “mitica F3” e a Fabriano, alle 8 di mattina del 10 dicembre scorso, l’ultima bobina prodotta dalla “macchina continua” (lavora in continuo, senza interruzioni, e produce bobine di carta lunghe anche diversi chilometri, poi tagliate e lavorate a seconda dei diversi formati di vendita) è stata rilasciata prima dello spegnimento definitivo, in un silenzio, c’è da immaginare dopo anni di familiare rumore produttivo, difficile da sostenere.
Tutto questo per provare a immaginare cosa significhi la definitiva cessazione di attività sul piano sociale, culturale e naturalmente anche economico per una realtà del nostro Paese in cui generazioni di “cartari” hanno condiviso saperi e manualità di questo meraviglioso prodotto.
C’è qualcosa di più simbolico per testimoniare la difficoltà del passaggio dall’analogico al digitale che la chiusura di una fabbrica di carta? Quali prospettive professionali, di riconversione e di nuova formazione al digitale queste persone possono aspettarsi per il futuro?
Su questi temi giunge un interessante report del World Economic Forum (Wef) che accanto alle dinamiche classiche di trasformazione di skill professionali dalle conoscenze analogiche a quelle digitali, considera anche aspetti di evoluzione economica e geopolitica.
Il Future of Jobs Report 2025, rilasciato proprio in questi primi giorni di gennaio, si basa su un campione importante: oltre 1000 datori di lavoro in rappresentanza di circa 14 milioni di lavoratori attraverso 22 segmenti di industria e 55 economie. Le analisi concordano nel dare il ruolo di principali driver nella trasformazione globale del mercato del lavoro a fenomeni quali il cambiamento tecnologico, la frammentazione geopolitica, l’incertezza economica, i cambiamenti nella struttura demografica delle popolazioni dei vari paesi, la complessa transizione ecologica. Fenomeni che tra il 2025 e il 2030 genereranno accelerazione e inasprimento dei modelli competitivi, la fine di determinati comparti (se non con presenze di nicchia), creeranno condizioni per la nascita di nuovi segmenti e di nuovi skill e soprattutto necessiteranno di risposte concrete da parte del mondo del lavoro e nelle politiche industriali dei diversi paesi e macro-regioni.
È ormai acclarato come l’accesso al digitale rappresenti il trend trasformativo più rilevante, con oltre il 60% dei datori di lavoro che si aspetta un cambiamento profondo del proprio business da qui al 2030. Si tratta, in pratica, di una digital transformation capillare nei modelli di produzione, logistica e distribuzione; nell’organizzazione del lavoro; nelle nuove competenze necessarie ai diversi skill; nelle modalità di rapporto con il mercato e i consumatori. Tutto questo determinerà una rapida crescita e un altrettanto rapido declino nei diversi ruoli professionali, con una marcata domanda di competenze negli skill digitali, soprattutto in Intelligenza Artificiale, Big data analytics, networking e cybersecurity che, secondo lo studio, registreranno le maggiori crescite.
Ma quello su cui si gioca la vera partita penso sarà la capacità di mettere a punto, supportati da una visione strategica di sistema-paese, percorsi di riconversione e di creazione di nuove competenze, politiche di supporto e welfare per chi, inevitabilmente, non riuscirà a crearsi nuovi skill. Tuttavia, a livello di macro-numeri, gli scenari appaiono positivi: la creazione e la distruzione di posti di lavoro dovute alla trasformazione strutturale del mercato del lavoro riguarderanno il 22% dei posti totali odierni. Ciò comporterà nuovi posti di lavoro per il 14% (170 milioni) dell’occupazione totale attuale. Tuttavia questa crescita sarà compensata dallo spostamento di circa l’8% (92 milioni) dei posti di lavoro attuali, con una conseguente crescita netta di quasi il 7% dell’occupazione totale, ovvero 78 milioni di nuovi posti di lavoro. E se nell’elenco dei Top largest growing jobs lo studio del Wef mette ai primi posti oltre agli Sviluppatori software anche i lavoratori del comparto agricolo che registrerà una fortissima digitalizzazione, al quinto posto tra i Top largest declining jobs inserisce i lavoratori della stampa e delle industrie correlate. Dove ci sono anche i nostri “cartari” di Fabriano. Chi li aiuterà?