Nel mondo sempre più digitalizzato in cui viviamo, la protezione dei dati sensibili è diventata una priorità assoluta. Al centro di questa battaglia per la sicurezza si colloca una serie di tecnologie generalmente indicate come “secure enclave” che forniscono un’efficace protezione a livello di chip. Queste tecnologie creano regioni protette all’interno del processore di un dispositivo ovvero aree fisicamente e logicamente separate dal resto del sistema in cui è possibile gestire dati e operazioni particolarmente sensibili. Questa separazione fornisce un livello di protezione elevato, in grado di resistere anche ad attacchi sofisticati.
Secure enclave: l’ambito d’uso
Le tecnologie secure enclave trovano impiego in diversi settori, dalla salvaguardia dei dati aziendali alla protezione delle transazioni finanziarie e sono anche diventate strumenti indispensabili nell’ambito dell’Internet of Things.
Per queste ragioni il mercato delle secure enclave sta conoscendo una crescita esponenziale e, secondo un’analisi di Markets and Markets, il mercato globale della sicurezza a livello di chip dovrebbe raggiungere un valore di $36,4 miliardi di dollari entro il 2025.
Alle aziende, l’adozione di queste tecnologie può portare a una serie di benefici significativi. Oltre a garantire la sicurezza dei dati, possono favorire il raggiungimento degli obiettivi di conformità normativa, ridurre il rischio di violazioni dei dati e rafforzare la fiducia dei clienti nella gestione dei loro dati personali.
Analizziamo, di seguito, alcune delle principali tecnologie secure enclave.
Hardware Security Module (HSM) è un dispositivo fisico dedicato che gestisce, elabora e immagazzina informazioni sensibili, quali chiavi crittografiche, algoritmi e certificati digitali. Gli HSM sono considerati secure enclave perché offrono un ambiente isolato e protetto, separato dal software e dall’hardware general-purpose, in cui è possibile eseguire operazioni crittografiche senza rischio di esposizione a possibili minacce.
Gli HSM sono progettati per resistere a tentativi fisici di effrazione e manipolazione. Sono spesso ospitati in gusci inviolabili e possono includere meccanismi di autodistruzione delle chiavi in caso di tentativi di apertura forzata.
Gli HSM forniscono un ambiente isolato in cui le chiavi crittografiche sono separate da altri sistemi. Questo è particolarmente utile quando si trattano dati altamente sensibili, come le informazioni finanziarie o i dati dei pazienti.
Questi dispositivi sono ampiamente utilizzati nell’industria finanziaria per la protezione di transazioni e la gestione delle chiavi crittografiche e sono in grado di gestire in modo sicuro la creazione, lo storage e l’utilizzo delle chiavi utilizzate nelle operazioni di pagamento, come anche nella generazione di firme digitali per le transazioni. In un’infrastruttura a Chiave Pubblica (PKI), gli HSM possono essere utilizzati per proteggere la Root CA e altre CA subordinate oppure possono essere utilizzati per memorizzare le chiavi utilizzate nell’autenticazione dei dispositivi IoT.
Physical Unclonable Function (PUF) è una tecnologia che sta guadagnando crescente attenzione per l’identificazione sicura e l’archiviazione di chiavi segrete. Le PUF utilizzano le irregolarità e le variazioni fisiche inevitabili che si verificano durante la produzione di dispositivi semiconduttori come base per generare una impronta digitale hardware unica e intrinseca per ciascun dispositivoOgni PUF è unica grazie alle minute variazioni fisiche nel materiale di cui è composta, come siliconi o polimeri. Questa unicità è analoga all’unicità delle impronte digitali umane.
La struttura fisica di una PUF è tale che è praticamente impossibile da clonare, anche con l’accesso fisico al dispositivo e questo rende le PUF ideali per applicazioni che richiedono alti livelli di sicurezza.
Possono essere utilizzate per fornire un meccanismo di identificazione e autenticazione per dispositivi in una rete e, dato che ogni PUF è unica e non clonabile, può servire come una forma affidabile di identità hardware.
Le PUF possono essere utilizzate per generare e archiviare chiavi crittografiche in modo sicuro: poiché la “chiave” è intrinsecamente legata alla struttura fisica del dispositivo è estremamente difficile da estrarre o duplicare. Le PUF possono anche essere utilizzate in soluzioni di Digital Rights Management (DRM) per garantire che solo dispositivi autorizzati possano accedere a contenuti protetti.
Trusted Platform Module (TPM) è un chip di sicurezza hardware che fornisce funzioni crittografiche e di archiviazione sicura per un’ampia gamma di applicazioni e sistemi operativi. Si tratta di un componente hardware che può essere integrato direttamente nella scheda madre di un computer o fornito come un modulo esterno.
Le funzioni di base del TPM includono la generazione di chiavi crittografiche, la cifratura e la decifratura, la firma digitale e la creazione di hash. Questi servizi crittografici sono essenziali per una varietà di applicazioni di sicurezza come l’autenticazione, l’integrità dei dati e la confidenzialità delle informazioni.
Una delle funzioni più importanti del TPM è fornire una “root of trust” hardware. Questo significa che il chip può generare e conservare chiavi crittografiche in modo sicuro all’interno di un ambiente hardware protetto. Queste chiavi possono essere utilizzate per avviare una “catena di fiducia” che si estende attraverso il sistema operativo e le applicazioni, garantendo che solo software e dati verificati possano essere eseguiti o acceduti.
TPM può essere utilizzato per garantire l’integrità del sistema: quando il sistema si avvia, il TPM può verificare che il bootloader, il sistema operativo e le applicazioni siano stati firmati digitalmente e siano integri prima di permetterne l’esecuzione. Questa funzione è particolarmente utile in scenari in cui la sicurezza è di importanza critica, come in sistemi bancari o di assistenza sanitaria.
Secure Element (SE) è una soluzione hardware avanzata che funge da cassaforte elettronica all’interno di un dispositivo più ampio, come uno smartphone o una smart card. Questa sorta di fortezza digitale è progettata per isolare e proteggere dati e applicazioni sensibili da potenziali minacce, sia hardware sia software.
Uno dei punti di forza del Secure Element è il suo isolamento hardware dal resto del sistema. Questa separazione fisica rende estremamente difficile per malware o altri attacchi compromettere i dati protetti. Allo stesso tempo, tutte le operazioni eseguite all’interno del Secure Element sono criptate. Le chiavi crittografiche utilizzate in questo processo sono spesso generate e memorizzate nel SE stesso, impedendo quindi la loro esportazione e l’accesso da parte di entità non autorizzate.
Il Secure Element è anche dotato di robusti meccanismi di integrità e autenticazione che assicurano che i dati e le applicazioni al suo interno siano ciò che dicono di essere. Questo è reso possibile grazie a un microcontroller dedicato che esegue un sistema operativo specializzato, spesso capace di gestire applicazioni come le applet Java Card in un ambiente di esecuzione rigorosamente controllato.
Questo concentrato di sicurezza trova applicazione in una varietà di settori. Negli smartphone e nelle carte di pagamento, per esempio, gestisce informazioni critiche come numeri di carte di credito, mentre nei passaporti elettronici e nelle carte d’identità è utilizzato per memorizzare dati biometrici come impronte digitali. Le sue applicazioni si estendono anche al mondo dell’IoT, all’industria 4.0 e ai sistemi di sicurezza automobilistici.
Security-Enhanced Linux, o più comunemente conosciuto come SELinux, rappresenta un esempio di secure enclave nel contesto del sistema operativo Linux. In un sistema Linux tradizionale, il controllo degli accessi è fondamentalmente regolato dai permessi utente e dai gruppi, che determinano chi può accedere a quali risorse e in che modo. Tuttavia, questa configurazione lascia spazio a diverse vulnerabilità, specialmente se un utente o un’applicazione riesce ad acquisire privilegi elevati, compromettendo di fatto l’intero sistema.
SELinux entra in gioco per mitigare questo tipo di rischi. Nel modello SELinux ogni processo e ogni oggetto all’interno del sistema è etichettato con un’etichetta di sicurezza e l’interazione tra essi è governata da una serie di politiche di sicurezza altamente configurabili. Queste regole definiscono comportamenti permessi e non permessi, restringendo l’ambito di ciò che processi e utenti possono effettivamente fare. Per esempio, anche se un’applicazione dovesse riuscire ad elevarsi a “root” (l’utente amministratore in un sistema Linux), SELinux potrebbe impedirle di compiere azioni che sono al di fuori della sua politica di sicurezza configurata, isolando così il danno potenziale.
Questa filosofia di “minimo privilegio” realizza una forma di enclave sicura all’interno del sistema operativo. I processi sono limitati a una “gabbia” di operazioni e risorse, circoscritta dalle politiche SELinux, e non possono uscire da questa gabbia senza un’autorizzazione esplicita che, in molti casi, non può essere concessa nemmeno dall’utente root. Questo è particolarmente utile in scenari come i server web, dove un’applicazione potrebbe essere esposta a un numero elevato di minacce esterne. SELinux è anche progettato per essere flessibile e configurabile: gli amministratori di sistema possono creare e modificare politiche di sicurezza per adattarle alle esigenze specifiche di un determinato ambiente, offrendo una combinazione di sicurezza e flessibilità che è difficile da raggiungere con approcci tradizionali.